Edizione 2023 Sassari, 12-14 ottobre 2023
Dress you up!
Moda, cinema, donne
Sono gli abiti a portare noi e non noi a portare gli abiti; possiamo far sì che modellino bene un braccio o un seno, ma essi ci modellano a piacer loro il cuore, il cervello e la lingua.
Virginia Woolf
A differenza degli animali, che hanno piume, manti, pellicce con cui rivelarsi nella natura, gli esseri umani hanno solo la pelle, superficie porosa e sensibile, che abbisogna di un ulteriore diaframma a schermare e insieme a esibire le nude pieghe dell’interiorità. Così abiti, cappelli, acconciature, accessori divengono cruciali nella rappresentazione di sé nel mondo reale e ancor più nell’allestimento dei mondi finzionali. Nel cinema i costumi sono un vettore essenziale e immediato della significazione visiva, e rimandano al contempo a differenti generi e codici espressivi. Oggetti compositi e stratificati, le vesti di scena sono segni, geroglifici di stoffa che intervengono nella tessitura narrativa del film; e insieme manufatti veri e propri, frutto di abilità professionali, talvolta raffinatissime, che dialogano con la tradizione artigianale e con la filiera dei mestieri dello spettacolo.
La relazione tra cinematografo e moda innerva poi la dimensione del divismo fin dagli anni aurorali del muto, dove sovente le personalità delle attrici si sono disegnate anche grazie alle scelte di guardaroba. Pensiamo ai casi emblematici delle grandi dive, certo, come Bertini e Borelli, ma anche a figure minori, alle personagge del cinema di Elvira Notari, ad esempio, avvolte in sdrucite sottane e scialli lucenti, che ne preannunciano i tragici destini. Per non dire degli stracci consunti portati da attrici e attori non professionisti sugli schermi del neorealismo. L’impeccabile ed eccessiva sartorialità hollywoodiana, dal canto suo, sembra coreografare le esistenze frenetiche e festose di Katherine Hepburn e delle altre protagoniste screwball. Allo stesso modo i tubini neri indossati da Jeanne Moreau e Monica Vitti trattengono e rivelano i corpi nuovi, trasgressivi e in movimento, che brillano nel cinema della modernità. Con l’ondata post-moderna e la feconda osmosi con gli altri media, il lavoro sui costumi si ispessisce, lasciando a tratti l’ossessione referenziale per deviare verso scelte estrose e talvolta giocosamente affrancate dal dover essere della Storia, come mostrano le parrucche gigantesche e i minuscoli scarpini di Marie Antoinette (S. Coppola, 2006).
La complessità e la varietà di questi fenomeni, indagati sempre di più negli ultimi anni dai fashion studies, si amplificano quando al quadro del cinema appena tratteggiato si aggiungono la televisione, la nuova serialità, la fotografia e le arti elettroniche in senso ampio.