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FAScinA 2020_Le sperimentali: tra cinema, videoarte e nuovi media

Shu Lea Cheang

a cura di Laura Cesaro

L’artista multimediale di origine taiwanese Shu Lea Cheang, classe 1954, è riconosciuta figura pionieristica sin dagli anni Ottanta. Conseguita la laurea in Storia contemporanea alla National Taiwan University nel 1976, decise di fuggire dal suo paese, piegato dalla legge marziale e dalla linea politica dei nazionalisti avversi agli americani, per recarsi a New York. Qui entra subito in contatto con alcuni collettivi, tra cui il Paper Tiger Colletive, abbracciandone l’azione contro le corporate media delle multinazionali: Shu Lea si propone con dei primi lavori, segmenti televisivi legati alla tematica dell’alfabetizzazione ai media e installazioni artistiche ispirate dal campo della cibernet. Negli anni Ottanta consegue un master in Cinema Studies e New Media presso la New York University. Sono gli anni in cui si diffondono i punti salienti del ‘Cyborg Manifesto’ di Donna Haraway, pubblicato nel 1985 e considerato momento di nascita per il gruppo delle cyberfeminism. Dichiaratamente l’artista se ne fa portavoce sin dai suoi primi lavori; precetti che la consacreranno una delle principali pioniere della NetArt.

A partire da questi anni, Shu Lea mette in scena le peculiarità nascoste di meccanismi nella dimensione sociale e politica, a partire da una rielaborazione della cultura mediatica della società della trasparenza -nell’accezione del filosofo coreano Byung Chul Han- (Byung Chul, 2014); tratto che la contraddistingue nella produzione artistica degli ultimi quarant’anni attraverso lungometraggi, site specific, interfacce digitali, serie web, performance. 

Cheang sceglie di iniziare la sua ricerca socio-antropologica da un’interrogazione di sé a partire dal viaggio verso New York: momento in cui attua quello che lei stessa ha definito un processo di self-acknowledgment -affermazione sia della sua identità di genere, sia della sua identità artistica- esprimendosi in quello che ritiene un luogo sicuro, lo spazio mediale. Ne congiunge gli effetti solo nel 1997 con Buy One Get One: in una valigia da viaggio (che definisce casa del suo errare) propone allo spettatore un computer portatile la cui homepage è arricchita da interfacce realizzate in occasione di viaggi e di spostamenti, il lavoro, gli incontri: una trama di avvenimenti con cui lo spettatore può interagire, come sfogliasse le pagine di un diario reso pubblico. 

Anche i protagonisti delle sue antologie saranno fortemente connessi all’ecologia mediatica. Grazie a un linguaggio che oscilla tra i registri dell’interfaccia mediatica e della narrazione filmica, Cheang si fa ‘montatrice’ di memorie altre, dando loro forma e consistenza per mezzo dell’atto artistico. Esempio ne è il lavoro commissionatale dal Guggenheim Museum di New York, Brandon (1998-1999), sito internet tutt’oggi consultabile, da poco restaurato, che tratteggia la storia di Brandon Teena, transessuale del Nebraska assassinato nel 1993. Un dispositivo automatizzato che non rappresenta il susseguire di fatti ma la fenomenologia identitaria di Teena, in un evento artistico polifonico dal carattere punk, che si mostra allo spettatore-utente come un puzzle di frammenti dal web da ricostruire; ma anche quale dimensione per costruire uno spazio di ribellione. 

Medesimo fine dei lavori successivi: una continua rielaborazione che coniuga linguaggio fantascientifico, cyberpunk e femminista per raccontare dei numerosi amici persi negli anni Ottanta a causa dell’AIDS. Tra altre, si menzionano I.K.U (2000), lungometraggio presentato al Sundance Film Festival, e Fluidø (2017) cyberpunk sci-fi movie presentato alla 67° Berlinale: trattano in maniera spinta, per mezzo di tematiche connesse alla sfera sessuale, delle relazioni tra corpo e raccolta massiva di dati (cfr. Evans, 2015). 

Nell’ultimo decennio, Cheang ingloba il linguaggio cinematografico e performativo in progetti più estesi, che permettano una inter-azione dello spettatore. Sulla scia dei due lavori cinematografici nasce UKI (2009-2022), una serie di progetti tutt’oggi in corso che comprende sia una piattaforma per artisti postporn, sia un ‘interruptive cinema’ che permette al pubblico di interferire sulla narrazione e ragionare sulle violenze quotidiane, rispetto la sfera dell’identità di genere, attraverso il linguaggio di dispositivi sociali mediali condivisi. Gli ultimi lavori, in un ritorno alla convergenze di idiomi artistici e supporti mediali, coinvolge lo spettatore in un dialogo sui cambiamenti del presente: l’esposizione di Sé ai sistemi del controllo –3x3x6 (2019)- e l’ectogenesi quale pratica in diffusione –UNBORN0X9 (2020)-. 

Cheang, nell’incontro con l’Altro per mezzo della sua arte, condivide l’intimità essenziale del suo pensiero, pregna di un dialogo costante con il flusso dell’esistere. 

BIBLIOGRAFIA

H. Byung Chul, La società della trasparenza, trad. it. di F. Buongiorno, Roma, Nottetempo, 2014.

H. Byung Chul, Nello sciame. Visioni del digitale, trad. it. di F. Buongiorno, Roma, Nottetempo, 2015.

M. Deseriis, G. Maano, Net Art: l’arte della connessione, Milano, Shake Edizioni, 2003. 

S. Lischi, La lezione della videoarte. Sguardi e percorsi, Roma, Carocci editore, 2019.

E. Marcheschi, Videoestetiche dell’emergenza. L’immagine della crisi nella sperimentazione audiovisiva, Torino,Kaplan, 2015. 

P. Preciado (a cura di), 3x3x6 catalogo della mostra, Taipei, Taipei Fine Arts Museum, 2019.

SITOGRAFIA 

Z. Blas, ‘Society has become the biggest panopticon: an Interview with Shu Lea Cheang’, Frieze, 2 maggio 2019 (ultimo accesso ottobre 2020).
https://frieze.com/article/society-has-become-biggest-panopticon-interview-shu-lea-cheang

E. Chardronnet, ‘Venice Biennale: sex, prison and digital sousveillance in the Taiwan Pavilion’, Makery. Media for Labs, 2019 (ultimo accesso ottobre 2020).
https://www.makery.info/en/2019/06/09/biennale-de-venise-sexe-prison-et-numerique-au-pavillon-taiwan

J. Evans, ‘Cyphersex pioneer: Shu Lea Cheang’, Exberliner, 4 giugno 2015 (ultimo accesso ottobre 2020).
https://www.exberliner.com/whats-on/film/shu-lea-cheang-interview/

H. Yin, ‘Shu Lea Cheang on Brandon’, in RHIZOME, 10 maggio 2012 (ultimo accesso ottobre 2020).
https://rhizome.org/editorial/2012/may/10/shu-lea-cheang-on-brandon/

Portfolio di Shu Lea Cheang (ultimo accesso ottobre 2020).
http://mauvaiscontact.info

Sundance Film Festival
https://www.sundance.org/projects/i-k-u