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FAScinA 2020_Le sperimentali: tra cinema, videoarte e nuovi media

Lina Mangiacapre

a cura di Lucia Di Girolamo

Carmela – Lina – Mangiacapre nasce a Napoli nella notte dell’Epifania del 1946. Sembra quasi che quest’artista totale (regista, drammaturga, pittrice, poetessa, performer e altro) abbia calcolato di venire al mondo al confine di un giorno pervaso da un duplice significato: riconoscimento del divino e celebrazione di una donna, una “strega”, la Befana, che nell’immaginario popolare è circondata da magia e mistero. Alla fine degli anni ’60, in piena rivoluzione culturale, si laurea in filosofia e incontra il Femminismo. Al di là della formazione scolastica, per Lina la prima forma di espressione artistica è la pittura, che sperimenta firmando le tele con lo pseudonimo di Màlina. Nel 1970, con il nome di Nemesi, dea della giustizia, fonda il gruppo femminista delle Nemesiache. In questo periodo, il Mito, nodo speculativo emerso durante gli anni degli studi universitari, diventa il centro della sua opera e dell’attività del gruppo. Attraverso di esso Lina parte alla ricerca del pensiero pre-logico e pre-concettuale per ritrovare la dimensione altamente creativa del femminile originario. Soltanto con il passare degli anni la sua ricerca si dirige verso zone di transito tra i generi. Lina stessa, nell’ultima parte della sua carriera, definisce il suo lavoro trans-femminista. L’approdo ultimo è il racconto di un mondo in cui si muovono non-uomini e non-donne: androgini, esseri liberi da gabbie concettuali. Faust-Fausta (romanzo e film), una delle ultime fatiche, va in questa direzione. 

Intanto, scrive molto: la parola assume una sempre maggiore importanza nel percorso espressivo di Nemesi, diventa strumento di azione teatrale. Cenerella, prima opera teatrale di Mangiacapre, risale al 1972 e rappresenta il passo iniziale verso una prolifica rielaborazione dei miti antichi e moderni tra cinema e teatro. Negli anni Settanta, infatti, l’artista si divide tra questi due contesti artistici. Inventa la “psicofavola”, metodo di autocoscienza e analisi del sé. Cenerella, che nel 1974 diviene un film, ne è il primo esempio. Scoppia poi la passione del cinema. Lina non solo realizza film, ma cerca di diffondere la cultura cinematografica con l’istituzione, a partire dal 1976, della rassegna del cinema femminista di Sorrento. La presenza di Mangiacapre nell’ambito dei festival è sempre più stabile. A lei si deve la fondazione, nel 1987, nella cornice della kermesse di Venezia, del premio Elvira Notari, che dal 2003, anno successivo a quello della morte della performer, si chiamerà premio Lina Mangiacapre. 

Nel cinema Lina rintraccia una dimensione di assoluto sperimentalismo: il suo ecclettismo può trovare libera espressione in un’arte strutturalmente multimediale. Dai primi esperimenti (Cenerella del 1974, Antistrip del 1976 e Autocoscienza del 1976), Lina arriva a produrre, scrivere e dirigere tre lungometraggi (Didone non è morta del 1987; Faust/Fausta del 1991; Donna di cuori del 1994) occupandosi, tra le altre cose, anche delle musiche. Un vero e proprio esperimento è Follia come poesia, del 1977, girato con le pazienti dell’ospedale psichiatrico del Frullone, quartiere di Napoli. Nel frattempo la sua febbrile attività continua anche a teatro, contesto che Lina e le Nemesiache ritengono in grado di incidere politicamente nel contemporaneo. Tra le opere di maggior impatto ricordiamo Prigioniere politiche (1978) o Eleniade (1980). Mangiacapre scrive numerosi romanzi e raccolte di poesie, l’ultima delle quali, Amazzoni e Minotauri, è stata pubblicata postuma nel 2008. 

Centrale nell’impegno dell’artista napoletana è la rivista Manifesta, da lei fondata nel 1987. 

Tutte le attività di Lina e delle Nemesiache, riunite nell’associazione Le tre ghinee, non sono rimaste confinate nell’astratto orizzonte della speculazione artistica e filosofica, ma hanno saputo portare l’attenzione su problemi reali. Con la sua associazione Mangiacapre ha fatto emergere la necessità di ricostruire la Napoli post terremoto tenendo in conto le mutate esigenze urbanistiche del mondo contemporaneo, in relazione, soprattutto, al ruolo della donna nel Meridione degli anni ’80. A questa problematica è legata l’idea di un convegno, Per una città a misura di donna, a cui Lina lavora subito dopo il disastro sismico del 23 novembre 1980. 

Le istituzioni le hanno spesso riconosciuto un ruolo centrale nella sfera politica e culturale dell’Italia dagli anni settanta agli anni novanta. Nel 1990 la Presidenza del Consiglio dei Ministri le assegna il Premio per la Cultura e nel 1996 le affida la realizzazione di uno spot celebrativo per i cinquant’anni del voto alle donne. Lina collabora inoltre a numerose iniziative di militanza femminista, tra cui Il Foglio del Paese delle donne.

Arrivata in questo mondo con il freddo di gennaio, Lina Mangiacapre muore a Napoli in un giorno di primavera inoltrata, quasi estate, il 23 maggio del 2002.