L’ultima sezione di ‘Smarginature’ è dedicata alle sperimentazioni più innovative nel campo dei nuovi media, con un’attenzione rivolta ad artiste del panorama internazionale che intersecano le problematiche dell’identità, del posizionamento, del ruolo e della rappresentazione delle donne nel panorama contemporaneo attuale, impiegando le più avanzate tecnologie non solo come forma di rispecchiamento e riformulazione del ruolo femminile, ma anche per sviluppare un discorso critico sulle tecnologie stesse, sia come forme di opportunità sia come luoghi di insidie e manipolazioni sociopolitiche.
Scandagliando l’opera poliedrica dell’artista taiwanese Shu Lea Cheang, Laura Cesaro illustra l’attività di questa pioniera e figura di riferimento del cyberfemminismo che lavora tra siti web e QR code, tra software di identificazione facciale e dispositivi di sorveglianza, utili a sviluppare un discorso di resistenza identitaria e di genere attraverso nuove elaborazioni della narrazione per immagini. Software, opere web, Intelligenza Artificiale, rappresentazioni cyborg sono altresì i territori sondati da Lynn Hershman nel saggio di Francesca Gallo che, attraverso una carrellata di opere, mostra le possibili interpretazioni, incarnazioni e controllo delle figure femminili mediate da tecnologie ormai pervasive nelle dinamiche socio-politiche. Alessandra Porcu, invece, si concentra sui machinima (opere che sfruttano paesaggi, personaggi e algoritmi dei videogiochi attraverso forme di risemantizzazione) realizzati da artiste per configurare processi di ribaltamento di figure femminili come nel caso di Lara Croft in Tomb Raider. Infine, Sara Tongiani illustra l’operato più recente di due artiste internazionalmente note come Orlan e Cindy Sherman il cui lavoro, da sempre basato sui concetti di metamorfosi e sulla dimensione iperrealistica del sé, oggi si sviluppa attraverso la progettazione di avatar cyborg mutanti, vedi il caso Orlan, o attraverso i selfie truccati, artefatti e mascherati di Sherman su Instagram.
I saggi qui raccolti rivelano dunque con chiarezza la natura polimorfa della sperimentazione audiovisiva delle donne, che trova differenti declinazioni per contesto storico e produttivo: dal cinema industriale e mainstream a quello amatoriale, dal cinema d’artista a quello indipendente, dalla videoarte agli ambienti, fino alla Net Art, la Software Art e le pratiche che coinvolgono videogame e social network.
Verrebbe da dire, parafrasando le parole di un grande storico e critico del cinema da poco scomparso, Dominique Noguez, che il cinema sperimentale è il cinema tutto e che le forme della sperimentazione sono la linfa vitale della produzione audiovisiva (Noguez 1979, p.23). D’altra parte chi più delle donne, nel loro millenario ‘stare ai margini’, può abitare e riprogettare relazioni nuove e impreviste con il cinema e i media audiovisivi? E se «tutti i margini sono fonti di pericolo», come scriveva l’antropologa Mary Douglas ([1966] 2003, p. 194), è perché spostano ciò che è già definito, limitato, immobile, spingendolo verso una costante metamorfosi. Le sperimentali lo hanno fatto fin dalle origini stesse del cinema. Siamo sicure continueranno a lungo.